Quando lavoro al sound design di un podcast preferisco la sottrazione. Non ho in simpatia quei suoni che potrei definire suoni tautologici. Un esempio per tutti: la voce narrante sta raccontando di un tizio che apre una porta ed ecco che, subito a seguire, si sente il suono di un sinistro scricchiolio legnoso.
Credo che questi interventi sonori siano orpelli superflui; tautologici, appunto. Dire la stessa cosa due volte di seguito non è mai una buona idea: aumenta in modo esponenziale il rischio di cadere nell’ovvio didascalico.
Con le dovute eccezioni, naturalmente; infatti c’è chi ha la capacità di utilizzare questa sovrabbondanza di interventi sonori in modo originale, ma non è affatto facile.
Il suono che accoglie lo straniero
In Grecia, a Siro, una piccola isola delle Cicladi, c’è una bella chiesa in stile bizantino che affaccia sul mare. Arroccata sul bordo di una scogliera, con la sua grande cupola visibile da lontano, Aghios Dimitrios accoglie le barche che arrivano sull’isola. Fu costruita nel 1936, sul luogo in cui venne ritrovata un’icona del santo martire Demetrio e, da allora, le navi in arrivo o in partenza dal porto suonano la loro sirena al passaggio e il sacerdote risponde suonando le campane.
Chi volesse narrare questa storia, avrebbe un motivo decisamente valido per arricchire il sound design del podcast facendo sentire i rintocchi delle campane che accolgono lo straniero. È un suono ricco di significato e, soprattutto, è il protagonista del racconto. Cosicché sarebbe di fatto impossibile cadere nella tautologia.
Invece, purtroppo, osservo spesso una sorta di compiacimento nel ricamare i podcast con pleonastici squilli di telefono, ticchettii di tastiera, sferragliare di tram, borbottii di caffettiera e tutto un campionario di suoni che non hanno nulla da dire in più rispetto alla voce narrante, la quale, nella maggior parte dei casi, basta e avanza da sé.
